La Molteplicità Disomogenea del Popolo

Non esiste “un popolo”. Ne esistono tanti quanti le possibili opinioni. Per questo non ha senso appellarsi alla volontà popolare.

La Molteplicità Disomogenea del Popolo

Fra le cose che più mi infastidiscono della discussione politica è il continuo riferimento alla volontà del popolo, in particolare in questo periodo. Non è una prerogativa dei cosiddetti movimenti populisti, sia chiaro. Anche i suoi oppositori dipingono automaticamente ogni vittoria come “riscossa di saggezza del popolo”, cadendo nello stesso errore.

Il fastidio maggiore deriva dal fatto che il concetto di popolo, non solo è di difficile definizione ed è mutato innumerevoli volte nel corso degli anni, ma è anche del tutto inconsistente: l’errore primario è considerare il popolo come una entità uniforme invece che l’emanazione di una moltitudine disomogenea di individui. Non esiste il popolo, esistono i popoli, arbitrariamente definiti, migliaia e intersecanti, l’insieme dei quali partecipa nello Stato.

Come molte altre cose nel mondo, il popolo appare uniforme solo se sfochiamo la sua immagine rimuovendo i dettagli. Così come consideriamo calma l’acqua in un bicchiere se ignoriamo l’incessante agitazione e movimento delle sue molecole, così come consideriamo fermi noi stessi se ignoriamo di essere su un pianeta ancorato ad una stella che si muove a 800 mila chilometri orari nella sua rivoluzione attorno la galassia, così il popolo ci appare uniforme se ignoriamo la complessità degli individui che lo compongono.

Me sebbene tale visione sfocata abbia i suoi indubbi vantaggi quando si discute di principi generali, man mano che si passa dal generale al particolare, ad esempio quando si parla di leggi o questioni specifiche, l’errore di approssimazione aumenta. Ci accorgiamo che il popolo è a sua volta formato da altri popoli che differiscono sotto il profilo sociale, economico e talvolta etnico. Non solo, a loro volta, a seconda di come tracciamo la linea di confine fra un popolo e l’altro, ogni individuo fa parte di uno o più popoli.

Arrivato a questo punto un immediato calo di zuccheri mi ha acceso in testa metafore zuccherine con Nutelle e Torroni. Avviso i lettori che tutto si è risolto per il meglio con due Pan di Stelle.

Una nazione non è quindi uniforme come Nutella, ma un variegato torrone. Quando il prossimo attizza-folle proferirà pomposo di voler rispettare la volontà del popolo, chiedetevi “Si, ma quale popolo?”. Perché, come abbiamo visto, non solo esistono differenti popoli ma tali popoli cambiano anche in base alla domanda posta.

Quando un politico si appella al popolo, non lo in nome di una giustizia egualitaria, bensì per limitare la libertà stessa. Come abbiamo visto non esiste un popolo a meno che di non ignorare le libertà regionali e locali, giù fino alla libertà individuale. Si finisce quindi ad usare il popolo come grimaldello politico per scardinare le libertà civili e le idee filantropiche. Con buona pace della volontà generale di Rousseau, non siamo in grado di trovare un pensiero unitario nelle riunioni di condominio, figuriamoci negli accordi tra nazioni.

Sieyès con un salame in grembo. Hahaha, ci siete cascati? È un semplice fazzoletto.

Infine, se tutto ciò non bastasse, non è chiara nemmeno la definizione di popolo. A quale “popolo” ci riferiamo? Al demos greco, fintamente egualitario, che si limitava ad una singola città. Al popolo del 1789, definito da E. J. Sieyès in base alla dimensione politico-giuridica di accettazione di un sistema comune di valori e principi. Oppure al Blut und Boden (sangue e terra) e al popolo come accampamento armato di Adam Müller in perpetua lotta contro l’eterno nemico esterno (e interno, se accettava questa idea).

Impossibile dirlo. Ironicamente lo stesso “popolo” è troppo disomogeneo per convergere su una sua definizione. In una specie di paradossale corollario al Teorema di Incompletezza, il popolo non riesce a definire nemmeno se stesso.

Ma ciò che resta è il pericolo di questa parola maledetta. Una parola nata per rappresentare l’unità degli individui usata sempre come strumento divisivo (sarà perché, come per parole quali bordo o contorno, è impossibile da definire senza far riferimento a qualcosa d’altro che ne è esterno).

A tale proposito lascio la conclusione alle parole di Nicolao Merker che sintetizzano magnificamente il concetto che ho rozzamente cercato di rappresentare qui.

I pericoli e i danni derivano dall'idea che i connotati identitari dei popoli siano un insieme unico e fisso nel tempo. Ogni popolo, al contrario, è una realtà storica mobile, sicché la sua identità non è mai una sola, bensì è fluidamente multipla, ricca di sfaccettature che variamente si modellano e compenetrano tra di loro. È a questa mobilità del terreno storico che ogni statuizione di libertà e diritti del “popolo” va commisurata.