Come pensare alla Guerra

In questo articolo ci interessiamo alla Guerra. E per farlo, chiediamo aiuto a chi di guerra se ne intendeva: Tucidide.

Come pensare alla Guerra

È evidente che la guerra sia un tema tornato tragicamente di attualità. La cosa però non deve sorprenderci: la cosa insolita, semmai, è che ci sia stato un momento in cui abbiamo potuto illuderci che fosse qualcosa che non ci riguarda più. Infatti, la guerra accompagna l'umanità da sempre: da quando il primo ominide è stato in grado di costruire lance e archi, li ha usati anche contro i propri simili.

Ci è sembrato che fosse qualcosa di "obsoleto" solo perché, nel secolo scorso, abbiamo costruito (usando anche la guerra) un angolo di mondo talmente tranquillo che il cui solo pensiero del conflitto armato appariva impensabile e repulsivo. Ma la guerra era sempre rimasta attorno a noi nonostante l'avessimo nascosta nell'angolo profondo della psiche, quella in cui si nascondono le cose che ci piace ignorare.

Ora che però la guerra si fa più vicina, ed è diventata impossible da ignorare, ci troviamo davanti a due scelte. La prima è fare finta di nulla: chiudere gli occhi e nascondersi sperando che passi da sé come un coniglio in mezzo la strada pietrificato dai fari di un'auto. L'altra consiste invece nell'affrontarla, accettare la sua spiacevole esistenza all'interno dei rapporti umani. Almeno fino al giorno in cui non diventeremo un po' meno stupidi.

I nostri antenati non avevano nemmeno il lusso di questa falsa scelta. La guerra era una presenza costante e la prima forma di risoluzione dei conflitti con le popolazioni confinanti.

Quale modo migliore per capire la guerra, quindi, se non tornare indietro nel tempo?

Pensare alla Guerra con Tucidide

Per il secondo articolo di questa serie, prendo spunto da How to Think About War, volumetto curato e tradotto da Johanna Hanink, professoressa di materie classiche alla Brown University, per la serie "Ancient Wisdom for Modern Readers." Il libro offre una selezione di sei discorsi estratti da le Storie di Tucidide che girano attorno al tema della guerra e delle "relazioni internazionali."

Le Storie (o Guerre del Peloponneso) è una raccolta di 144 discorsi che raccontano la storia della Seconda Guerra del Peloponneso, il conflitto che vide affrontarsi dal 431 a.C. al 404 a.C. le due potenze locali dell'epoca: Atene, che aveva cominciato una politica che oggi chiameremmo espansionista e imperialista, e Sparta, che impensierita dall'ascesa del rivale guidò una lega di città stato per arginare l'egemonia ateniese.

Di Tucidide non sappiamo nulla più di quello che lui stesso ha scritto nelle Storie. Ma ciò non impedisce di avere un suo bel busto al Royal Ontario Museum.
Di Tucidide non sappiamo nulla più di quello che lui stesso ha scritto nelle Storie. Ma ciò non impedisce di avere un suo bel busto al Royal Ontario Museum.

Tucidide, generale ateniese, presenta le orazioni e i resoconti come una "raccolta di cose che ho sentito o che mi sono state raccontate" e che, nonostante non possa giurare di ricordarli perfettamente, sono "il più possibile aderenti allo spirito di ciò che è stato realmente pronunciato." In realtà, gli studiosi moderni nutrono più di qualche dubbio al riguardo. Nonostante ciò, gli eventi e i partecipanti rimangono coerenti con ciò che sappiamo da altre fonti e Le Storie rappresentano una finestra unica e importantissima nella mente degli uomini dell'epoca.

La domanda, però, viene spontanea: cosa può insegnarci sulla società e la guerra di oggi, il racconto di una guerra di 2400 anni fa? La guerra di oggi è diversa da quella di allora: a opliti, archi, triremi e pentecontere, abbiamo sostituito soldati professionisti, armi da fuoco, missili, aerei e gigantesche navi da guerra.

Tuttavia, nei suoi principi, la guerra è rimasta la stessa perché uguale è rimasta la natura di noi esseri umani.

Facciamo la guerra per gli stessi motivi, temiamo le stesse cose, la giustifichiamo con le stesse idee e spesso commettiamo gli stessi errori.

Inoltre, non avendo un attaccamento emotivo a una delle due fazioni, possiamo mantenere uno sguardo più razionale. (Se parlassi di Palestina e Israele invece che Atene e Sparta, sapreste mantenere lo stesso distacco?)

Ecco quindi alcune idee su cui possiamo riflettere ancora oggi.

La Tesi Ateniese

Le Storie di Tucidide sono ancora oggi uno dei testi base del diritto internazionale e riscontrano particolarmente successo specialmente fra i cosiddetti realisti, ovvero i fautori di quella teoria (spesso fatta risalire a Machiavelli) per cui il fine primario dell'azione politica è il raggiungimento e il mantenimento del potere.

Non a caso, una delle tesi del realismo politico prende il nome di Tesi Ateniese proprio perché è l'approccio di Atene descritto nelle Storie.

La Tesi Ateniese è divisa in due parti:

  1. La natura degli stati è quella di aumentare ed esercitare il loro potere.
  2. Non possono essere biasimate per seguire la propria natura.

Un corollario della tesi è, quindi, che il concetto di giustizia non possa essere applicato quando si parla delle azioni delle nazioni e degli imperi.

Nel Dialogo degli Ateniesi e dei Melii, la tesi è esplicitata direttamente:

Dobbiamo fare ciò che possiamo sulla base di ciò che pensiamo, ognuno consapevole che la giustizia è un fattore nelle decisioni umane solo quando le due parti sono paritarie. Quelli in posizione di potere fanno ciò che il potere permette, mentre i deboli non hanno altra scelta che accettarlo. – 5.89

Oppure

È semplicemente nella natura del mondo che sia gli dei che gli uomini "sempre cerchino di dominare quello che possono dominare." – 5.105

Atene diede a i melii un'alternativa: arrendersi o essere sterminati. I melii scelsero di non arrendersi e, dopo la vittoria ateniese, Atene mantenne la promessa. Nessuna senso umano di "giustizia" fu preso in considerazione.

I realisti moderni però non notano che Tucidide posiziona questo dialogo (e altri affini alla Tesi Ateniese, come il monito di Pericle che la guerra di difesa non deve mai sfociare nell'espansionismo) vicino al racconto della disastrosa spedizione in Sicilia che costò ad Atene la flotta e, di conseguenza, la guerra.

Seppure mai esplicitato, in molti leggono in questi accostamenti una sorta di monito da parte dello storico. Tucidide non conosceva la frase "è il karma" ne il detto "se sputi in aria ti ricade in testa," ma ne conosceva di sicuro il senso.

La brutalità non è un deterrente

Nel 428 la città di Mitilene, situata sull'isola di Lesbo, si ribellò all'alleanza Ateniese e chiese aiuto a Sparta per liberarsi da tale tirannia. Sparta accettò, ma le navi mandate a Lesbo subirono ritardi e alla fine la rivolta fallì (non la faccio troppo lunga, ma è una storia interessante che vi consiglio di leggere per conto vostro).

Come vendetta per la ribellione l'assemblea di Atene votò per una punizione drastica, qualcosa che oggi chiameremmo genocidio: uccidere tutti gli uomini e schiavizzare donne e bambini. Quello stesso giorno, una trireme partì per consegnare ed eseguire l'ordine.

Il giorno successivo, però, gli ateniesi, a mente fredda, ebbero un ripensamento alla realizzazione della brutalità delle loro decisione e indissero una nuova assemblea per decidere se annullare l'ordine del giorno prima.

Nel Dibattito Mitileneo, Tucidide ci racconta di questa assemblea usando le parole di Cleone – che aveva prevalso il giorno prima nel convincere l'assemblea della spietata punizione – e Diodoto – che invece argomentava in favore di soluzioni meno drastiche e di annullare lo sterminio.

La parte più interessante del discorso di Diodoto è l'appassionata difesa della tesi per il quale la brutalità non è un deterrente.

Uno degli argomenti di Cleone a favore del genocidio di Mitilene era infatti il seguente: se non diamo una punizione esemplare alla città ribelle, creeremo terreno fertile perché altre città si ribellino in futuro. Cleone, non ci girava attorno, anzi, esprime candidamente e con schiettezza quella che nella sezione precedente abbiamo definito Tesi Ateniese:

Dovete anche evitare di essere traviati da le tre cose più distruttive per un impero: pietà, bei discorsi, e l'interesse per la clemenza.
– Cleone in 3.40

Se non è realpolitik questa, non so cos'altro sia.

Diodoto però non è convinto e, nel criticare Cleone, fa uso dell'esempio della pena di morte.

Le città fanno uso della pena di morte per le più svariate ragioni [...] e ne fanno uso anche per trasgressione più lievi. Nonostante ciò, la speranza porta le persone a rischiare perché, dopotutto, nessuna persona si metterebbe in pericolo se i propri calcoli avessero predetto certa sconfitta.
Allo stesso modo, quale città proverebbe a ribellarsi in questo modo se pensasse di non essere riuscita a prepararsi abbastanza, da sola o con i suoi alleati?
– 3.45

Il concetto è semplice: la pena di morte non è un deterrente perché le persone che si arrischiano a commettere un crimine (o le città che compiono una rivolta) lo fanno perché sono convinte di avere una possibilità di farcela (e quindi di evitare la pena). E se la speranza non fosse sufficiente, spesso "la povertà genera audacia per pura necessità" [3.45].

Diodoto fa anche un parallelo storico e dice che in passato le città hanno applicato la pena di morte in continuazione, eppure i crimini continuano a esserci. Quindi o continuiamo a punire sempre in modo più drastico e brutale, oppure dobbiamo accettare il fatto che la punizione, di per se, non sia un deterrente.[3-45]

Infine, Diodoto affronta la questione anche da un punto puramente pratico.

Pensate che ora, quando una città ribelle si rende conto di non poter avere successo, ha ancora la possibilità di giungere a un accordo acconsentendo a rimborsarci i costi della guerra e a pagarci un tributo in seguito. Ma se le cose stanno diversamente [ovvero, se la punizione è sempre e comunque lo sterminio], non è forse vero che i ribelli faranno preparativi migliori e resisteranno sotto assedio fino all'ultimo, se tanto il risultato sarà lo stesso? Non è forse un male rinunciare a tutto questo denaro rifiutandoci di giungere a un accordo, o, nel caso di vittoria, di riconquistare un territorio devastato e perdere tutte le entrate future da esso?
– 3.46

Ancora una volta un argomento efficace. Se la città ribelle sa che non ha vantaggio ad arrendersi, tanto vale lottare fino alla fine, con conseguente aumento di costi per Atene in termini di denaro e vite umane.

Dobbiamo anche cercare protezione non nella severità delle nostre legge, ma nella diligenza con cui agiamo.
– 3.46

Personalmente ho trovato molti degli argomenti di Diodoto molto moderni, e mi ha sorpreso vederli brandire con tanta naturalezza nel 400 a.C. Guardatevi attorno al giorno d'oggi e chiedetevi se non c'è una nuova Mitilene.

Sarete contenti di sapere che, alla fine, Diodoto ha avuto la meglio e la sera stessa fu mandata una nuova trireme con l'ordine di annullare l'ordine della trireme del giorno prima.

Tucidide ci dice che la seconda trireme raggiunse in tempo la prima, forse perché la prima trireme andò piano perché i suoi rematori "erano in cuore gravati dal peso di ciò che dovevano fare."

La difesa della libertà

La selezione di Hanink contiene anche tre delle orazioni di Pericle, il celebre politico e generale a capo di Atene durante la guerra, ma che morirà più o meno a metà a causa della pestilenza del 430 a.C.

Il più celebre delle tre è la Orazione Funebre, pronunciata (secondo Tucidide) durante i funerali per i primi caduti della guerra. Lo scopo ufficiale del discorso era di onorare i soldati morti e consolare le loro famiglie, ma soprattutto serviva a convincere gli ateniesi che difendere i valori che Atene incarnava era qualcosa per cui valesse la pena morire.

Quel bel figliolo di Pericle.

Al di là dei valori storici (come abbiamo visto, Atene non era proprio uno stinco di santo), Pericle si lancia in una strenua difesa della libertà e della democrazia talmente appassionata e ispiratrice che le sue parole hanno mantenuto efficacia per millenni. Il discorso viene citato da innumerevoli politici (almeno quelli ancora in grado di leggere), citazioni dell'orazione hanno tappezzato Londra durante la Prima Guerra Mondiale e, nel 1937 il regime dittatoriale greco ne aveva vietato l'insegnamento a scuola. Non male per poco di più di 11 paragrafi vecchi di 2400 anni.

Sarebbe inutile citarlo a stracci, quindi vi lascio un link per una traduzione italiana.

Rimane tuttavia la domanda implicita: saresti disposto a morire per difendere i valori di libertà e democrazia? È una domanda complessa e chiunque dica di avere una risposta, mente. Solo nel momento della verità scopriamo la risposta. È però una domanda che vale la pena farsi di tanto in tante. In fondo, il nostro rapporto con la guerra è rinchiuso tutto in quella risposta.

Conclusioni

Non è stato facile mantenere questo articolo intorno alle 2000 parole. Il libro tocca molti punti e il tema è delicato e sfaccettato. Sarebbe un'ubriacatura di superbia credere di poter coprire il tema de "La Guerra" in un mero articolo di blog.

Tuttavia, spero di aver offerto qualche spunto per iniziare a dibattere la questione. Con gli altri, certo, ma soprattutto con noi stessi. Perché sognare un mondo perfetto è giusto e interessante, ma lo si può raggiungere solo passando attraverso al mondo imperfetto e violento che abbiamo ora. E per questo, dobbiamo farci trovare preparati.