Dio, Patria e Famiglia

Ovvero l’errore del progressismo di farsi sfilare dalle mani tre pilastri dell’uomo da chi li ha trasformati in parodie.

Dio, Patria e Famiglia
Photo by Lukas Meier on Unsplash

Ogni qual volta la destra usa lo slogan Dio, Patria e Famiglia, la risposta della sinistra è quasi sempre di scherno. Che noia!, si dice ridendo. Si fanno simpatici cartelli. Si fanno battute che ottengono i big likes su Twitter. Si deridono quei “poveri idioti” che si sentono rappresentati da quei tre sostantivi. Poi, però, ci si sorprende se la bolla in cui si vive si fa via via più piccola.

Il punto è che questo desiderio iconoclasta ha di fatto consegnato i tre pilastri cardine nell’uomo in mano alla peggior destra d’Occidente (se escludiamo i Repubblicani americani, si intende).

Non che mi sorprenda. Dopotutto non c’è problema scomodo che a sinistra non si sia “risolto” semplicemente ignorandolo. Si sa, se una cosa non è allineato alla mia visione del mondo, è la realtà a essere sbagliata. Ma poiché io tengo più al progresso che a vincere una battaglia ideologica o a sentirmi il più intelligente del mondo, ho sviluppato una certa frustrazione nel vedere che la risposta a “Dio, Patria e Famiglia” è sempre lo sberleffo e la scrollata di spalle.

La questione, semmai, è che abbiamo lasciato a una destra pecoreccia l’occasione d’impossessarsi e plasmare i concetti di “Dio, Patria e Famiglia” nella caricaturale parodia ottocentesca che la vediamo professare.

Il problema non è se Dio, se la Patria, o se la Famiglia, bensì quale Dio, quale Patria e quale Famiglia.

Famiglia

Partiamo dalla Famiglia, che è la più semplice. Vogliamo negare che la Famiglia abbia un posto centrale nella vita dell’uomo? Certo, la parodia della destra incarnata dalla “famiglia del Mulino Bianco” (che nemmeno esiste più nelle pubblicità del Mulino Bianco) è solo una vista parziale del concetto, ma come negare la spinta dell’essere umano a stringere relazioni con altri essere umani? Il concetto non va negato ma reso coerente con la realtà, ovvero che di famiglie ce ne sono di tanti tipi: quelle omogenitoriali, quelle single, quelle divorziate, separate, scombinate e ricombinate. Non importa. Tutte sono Famiglie valide e da celebrare.

Patria

Secondo, la Patria. Altro problema del mondo progressista è che quando a destrano parlano di Patria, la risposta è “yuck, patria” con espressione schifata. Eppure il concetto di patria ha un enorme valore umano, non solo emotivo ma pratico. Come spiega spesso Yuval Noah Harari(https://it.wikipedia.org/wiki/YuvalNoahHarari), il concetto di patria o nazione è un costrutto sociale che facilita il meccanismo per cui due persone che non si sono mai viste prima — e che magari hanno nulla in comune — di aversi a cuore l’un l’altro e cooperare. Quando un abitante di Torino paga le tasse per far sì che un ragazzo di Napoli abbia un istruzione, non lo fa (solo) per innata generosità sociale, ma perché il concetto di patria dirotta il naturale egoismo umano verso un gruppo sociale più ampio (in questo caso, i connazionali).

Sia chiaro, io mi considero un cosmopolita e per me il mondo tutto è la mia patria, ma il concetto non cambia. E finché non convinceremo tutti a essere cosmopoliti bisogna accettare che il concetto di patria ha un senso e che vada difeso.

Il problema, ancora una volta, è che abbiamo lasciato che la destra cooptasse il concetto di patria trasformandolo nell’ennesima caricatura tardo-ottocentesca, fatta di supremazia, autarchia e vittimismo. Non c’è una singola proposta della destra che si possa considerare patriottica, nessuna che faccia della nostra nazione qualcosa di cui andare fieri, che le faccia avere il rispetto delle altre nazioni, che la renda attrattiva, competitiva e attiva. Nulla. Solo piagnisteo.

Quindi, ripeto ancora, il problema non è la Patria. Ben venga una Patria di cui essere fieri, aperta al mondo e partecipante attivo al complicato processo di cooperazione dei popoli. Io rivendico questa come Patria perché quell’istituzione che guarda se stessa e che soffre di un senso d’inferiorità e di vittimismo acido non è degna di essere chiamata nazione.

Dio

Terzo, Dio. Ho l’impressione che un certo tipo di proselitismo ateo, continui a sbagliare le misure: decide di scagliarsi contro qualsiasi religione teologica offrendo in cambio il nulla.

Lo scopo non è sbagliato in se. Le religioni organizzate sono strumenti coercitivi e alcune idee che professano sono dannose per i singoli e le società nel loro complesso (ad esempio, credere nella vita nell’aldilà è probabilmente l’idea più dannosa che l’uomo abbia mai avuto). Ma demolire è facile, più arduo è costruire. Quando si proclama la caduta degli dei nessuno fa il passo successivo di proporre qualcosa da mettere al loro posto. Ci siamo gongolati, insomma, in una specie di credenza altrettanto religiosa per cui, una volta liberato l’uomo dal giogo delle religioni, l’uomo avrebbe trovato la sua via.

Solo che non è successo e gli uomini liberati dalle religioni sono andati a sbattere più e più volte.

Tocca tenerci le religioni? A parte che la decisione non spetta certo a noi, la risposta per me è no. Tuttavia, ci sono aspetti nelle religioni che vanno conservati e tenuti in conto quando ci si prefigge il compito di spazzarle via.

Se togliamo la componente teologica, in particolare quella monoteista, c’è ancora molto a cui attingere. La comunità, la ritualità, la cornice etica, la ricerca spirituale in senso lato, ecc. Tutte cose che si cercano di ritrovare nella filosofia, nell’associazionismo, nelle comunità di volontariato o in progetti che soddisfano il desiderio trascendente dell’uomo. Tutte cose che possono e vanno a sostituire le religioni.

(Qui si apre una parentesi sulla definizione di religione e sul perché filosofie teiste come le religioni debbano avere uno status privilegiato rispetto alle filosofie non-teiste. Ma finirei per divagare troppo.)

E quindi?

E quindi la mia proposta è di reagire al reazionario Dio, Patria, e Famiglia senza scherno, senza sminuire tre aspetti integranti della dimensione umana, bensì rivendicarli nella loro forma moderna.

Rivendicare la necessità di una famiglia, qualsiasi forma essa abbia.

Rivendicare la necessità di una patria, ma che sia forte da aprirsi al mondo senza vittimismo e paura, e che sia collaborativa.

Rivendicare la necessità di una dimensione umana e spirituale dell’uomo che sia lontana dal bigottismo dei monoteismi ma altrettanto capace di appagare il trascendente.

Vorrei, insomma, meno derisione e più compressione. Vorrei un progressismo che non sputi sull’uomo dall’alto del suo scranno ma che scenda a prendere l’uomo per mano. Perché l’etimologia della parola progresso significa “camminare avanti.” Possibilmente insieme.