I videogiochi sono parte della cultura umana. Punto.

È il 2018 e non riesco a concepire come, ancora una volta, stiamo discutendo di questo: i videogiochi sono degni di rappresentanza…

I videogiochi sono parte della cultura umana. Punto.
Sempra il leitmotif di questo decennio: dover ribadire concetti che davamo per scontanti, siano essi l’antisemitismo, i diritti civili o qualcosa di fortunatamente meno serio sullo status culturale dei videogame. Ma vabbé, ci tiriamo su le maniche e ricominciamo da capo.

È il 2018 e non riesco a concepire come, ancora una volta, stiamo discutendo di questo: i videogiochi sono degni di rappresentanza culturale? Il fatto che ancora una volta ci troviamo a dover difendere qualcosa che è praticamente un dato di fatto è deprimente. Tuttavia è doveroso, onde evitare di arretrare ancora di più.

A meno che non viviate su una piccola luna lontana, avrete notato negli ultimi giorni il riaccendersi della vecchia tiritera sullo status culturale dei videogame: sono dannosi?, sono istruttivi?, sono cultura?, sono arte? alienano dal mondo?

Ma come?, direte voi, ancora ‘sta storia? Ebbene sì, e a rendere questa questione più rilevante è che è stata rilanciata da uno dei personaggi che drovrebbe salvare il progressismo in Italia. Carlo Calenda ha partorito un Tweet di una idiozia demenziale:

A parte l’uso stantio del termine “giochi elettronici”, il Tweet eleva a problema nazionale un opinabile ma leggittimo parere personale. Il tema del Tweet è: se salvo i ragazzi dai videogame rifondo la democrazia, e quindi, di conseguenza, indicare i videogame come una causa del fallimento delle democrazie liberali (!!). Non serve che sia io a dirvi che una frase talmente insensata che potrebbe gareggiare solo con “togliamo gli zuccheri dalla Coca Cola per un nuovo risorgimento italiano”.

La frase non solo è sciocca e vecchia, è anche piuttosto dolorosa. Il panorama videoludico italiano, pieno di persone interessanti ed educate, soffre già di una pesante arretratezza causata da una scarsa valorizzazione statale. Chi ogni giorno ci sbatte la faccia ne esce ancora più abbattuto: se Calenda è il meglio che il progressismo abbia da offrire, significa che non c’è nessuno pronto a prendere le redini di una categoria.

Tuttavia, io non me la prendo con Calenda che, palesemente, parla di un mondo che non conosce assolutamente. Anzi, come ho già avuto modo di dire, mi offro personalmente di fare da cicerone per l’ex-Ministro portandolo a conoscere mondi, ambienti e valore artistico delle opere che, secondo lui, avrebbero effetti tanto dannosi.

Io non me la prendo per quello; semmai critico il fatto che per tutto oggi abbia infierito dando l’idea di essersi affezionato alla sua ignoranza.

Resta il fatto che la frase di Calenda resta e che ha riportato a superficie la necessità di continuare con il lavoro di promozione e valorizzazione sia come strumento pedagogico che artistico dell’intrattenimento interattivo digitale.

Ma quindi, i videogiochi sono arte?

Prima di diventare “arte”, un espressione umana deve passare per lo status di “cultura”. Io non posso dire con certeza che il videogioco sia già arte (anche se ho ben presenti giochi che considero colossali opere d’arte), ma che sia cultura, questo è vero senza ombra di dubbio.

Non devo essere nemmeno io a convincervi perché la questione è ben chiara da tempo: i videogiochi sono una forma di espressione culturale — con un potenziale per lo meno paragonabile al cinema e alla letteratura.

La questione, come dicevo, è chiusa da tempo. Se non credere a me, credete a quegli organismi che sono storicamente simbolo di cultura: organizzazioni governative, musei e università.

  • I videogiochi sono già da tempo oggetto di studio da parte del mondo accademico. Per fare un esempio banale, ogni anno il DiGRA riunisce ricercatori da tutto il mondo per discutere del tema dell’intrattenimento digitale. Lo fa sia dal punto di vista tecnico, che filosofico che pedagogico.
  • I videogiochi sono parte da anni di un’esposizione permanente al MoMA, il celebre Museum of Modern Art di New York. La lista la trovate qui, la lista per me potrebbe essere più grande, ma è un riconoscimento importante per il medium videogame.
  • I videogiochi sono preservati dalla Library of Congress americana in quanto considerati parte del patrimonio culturale del paese.

Serve altro? Non credo. Inoltre, il videogioco dovrebbe emozionare tutti per un motivo: è una forma di espressione nuova che abbiamo visto nascere o crescere durante l’arco della nostra vita: è una cosa rarissima e preziosa. Non abbiamo assistito alla nascita della pittura, o alla nascita del cinema, ma possiamo assistere a quella del videogioco. Non è magnifico?

Perché questo accanimento?

A rendere più surreale questa petulante discussione è che cade perfettamente nel pattern che attraversano tutte le forme d’arte. Ogni volta che nasce una nuova forma di intrattenimento trova sempre l’opposizione di una generazione.

Prima l’intrattenimento nasce senza velleità artistiche. Poi qualcuno dice che danneggia i giovani distraendoli da <lista di forme culturali accettate al tempo T> e <lista dei bei valori di una volta del tempo T-1>. Poi qualcuno dice che non è vero. Poi qualcuno comincia ad usare quella forma espressiva per messaggi più profondi. Poi i giovani crescono e vecchi muoiono e, lentamente, la forma espressiva viene accettata prima come espressione culturale e, infine, come arte.

E’ successo per il fumetto dove, negli Stati Uniti, nel 1954, ci fu addirittura una commissione del Senato per denunciare la relazione fra fumetti e delinquenza giovanile.

E’ successo così per il Cinema. C’è voluto tempo dall’anno del primo cinema (1896) prima che il cinema smettesse di essere un pericolo pubblico e diventare una forma d’arte (pensate che un tempo, dopo la proiezione, le pellicole venivano buttate).

E’ successo ciclicamente ogni volta che nasceva un genere musicale nuovo. Una volta era la musica strumentale a “non essere arte”, poi toccò alla musica con le chitarre elettriche, o quella elettronica; anche il Jazz, per cui oggi migliaia di pretenziosi snob sbavano dietro, ha passato il suo lungo periodo da sub-cultura.

E potrei andare avanti, all’infinito, fermandomi solo davanti a quell’uomo preistorico che, un giorno, deve aver sculacciato il figlio per aver imbrattato le pareti della caverna con i suoi “disegni”.

Ma quindi c’è solo del buono nei videogiochi?

Affermare questo sarebbe altrettanto stupido. Come tutti i mezzi espressivi di intrattenimento esiste il buono e il cattivo. Molto dipende dalla qualità (il filme è pecoreccio o è educativo?), dalla distribuzione (il mezzo di diffusione è limitato o illimitato), dalla preparazione culturale di chi sta attorno a chi consuma il mezzo (per alcune opere serve che qualcuno spieghi i concetti più delicati al fruitore, specie se il fruitore è un minore, capita per videogiochi, film e libri).

Tuttavia il giusto e lo sbagliato non dipende dal videogioco in sé, ma da tutto il contesto. Tant’è vero che alcuni lati negativi si presentano anche successivamente. Faccio un esempio.

I videogiochi danno dipendenza come tutti i mezzi di evasione, specialmente in soggetti fragili. Questo è innegabile ed, infatti, è anche tema di sviluppo per gli addetti del settore. Tuttavia un fenomeno simile è comparso anche nel mondo del cinema quando è comparso un nuovo metodo di distribuzione: l’on demand. Il fenomeno del binge-watching è piuttosto recente e altrettanto dannoso. Arriviamo a dire che il cinema e le serie tv sono un pericolo per la democrazia? Certo che no. Cerchiamo invece di promuoverne un uso più consapevole.

Questo vale per tutto e per tutti; ma questo è un altro discorso.