Inutile ode ad un inevitabile Europa unita
Che l’Europa stia vivendo in tempo recenti momenti di fibrillazione, è cosa nota. Ma nel lungo periodo rimango ottimista.
Che l’Europa stia vivendo in tempo recenti momenti di fibrillazione, è cosa nota. Come capita sempre in momenti di crisi economica, i movimenti oclocratici e nazionalisti alzano la cresta scaricando sul nemico esterno lo spettro delle loro paure (probabilmente a causa delle tante forme di panico morale a cui siamo quotidianamente sottoposti). Così, quando manca ormai poco al referendum fratricida sulla Brexit, sento un po’ il bisogno di dire la mia.
Come dissi già in passato, ci sono mille motivi per criticare l’attuale forma dell’Unione Europea: innanzitutto per il modo unilaterale con cui la Germania, forte della sua stabilità economica, ha imposto per questioni di vantaggi interni politiche anti-europee all'intero continente, ma anche per la scelta particolare delle priorità d’agenda. Ad esempio, l’aver forzato una moneta unica prima di un mercato unico portando al paradosso, tanto per citarne uno, dei piani tariffari telefonici per cui nel 2016 è più facile spostare oltre confine nazionale capitali e investimenti piuttosto che 1Gb di traffico internet.
Ma senza divagare, potrei stare qui a sforarmi di spiegare perché ancora ho fiducia in un istituzione che, nel bene e nel male, ha garantito il periodo di pace più lungo che il continente abbia mai visto nella sua storia (o quantomeno dalla Pax Augustea, se escludiamo l’area germanica, che andò dal 29 d.C. al 180 d.C.). Potrei farlo, ma non lo farò. Perché non serve, perché l’Europa è ormai inevitabile, per quanto i nazionalismi interni si sforzino di ritardare la cosa.
Faccio parte di una generazione per cui andare ad un concerto a Berlino è naturale quanto fare il week-end a Ostia. Faccio parte della generazione per cui il fine settimana a Parigi è un’alternativa come un’altra ad una serata al pub. E mentre lo spirito separatista e retrogrado di coloro che vorrebbero tornare alla bieca chiusura nazionale dei bei tempi d’oro di un Europa in costante conflitto interno sparlano di come l’unione ci abbia reso più deboli, migliaia di ragazzi, zaini in spalla e con biglietti da 20€ andata e ritorno in tasca, sfrecciano avanti e dietro per un’Europa di cui non concepiscono i confini (se non come noiose barriere burocratiche negli aeroporti).
La via da percorrere non è facile, né sicura. Ma deve essere percorsa, e lo sarà! — Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Ursula Hirschmann, — il Manifesto di Ventotene, 1944 circa.
Ma se lo spostamento culturale delle nuove generazioni non fosse sufficiente a convincervi, c’è la motivazione nazionalista. In uno scorso articolo avevo spiegato come il concetto di nazione affondi le sue radici nel concetto di “affinità di sangue”, ovvero il concetto che le nazioni siano composte dall’unione arbitraria di gruppi di persone accomunati da una linea di sangue.
Tuttavia, per quanto i nazionalisti si sforzino di sottolineare, marcare ed evidenziare le sempre più sbiadite linee che rendono uno stato diverso dall'altro, tale affinità è sempre più impalpabile. Non solo perché non vengono riconosciute come tali da parte delle popolazioni, ma perché persino l’affinità di sangue comincia a vacillare. C’è un trend crescente fra i matrimoni fra cittadini EU provenienti da nazioni diverse [fonte]. La statistica è aggiornata solo al 2006 ma non mi sorprenderebbe affatto che il trend sia continuato. Solo nella mia ristretta cerchia di conoscenze (che non è statisticamente rilevante, ma può far riflettere), negli ultimi 2–3 anni ho contato 6 matrimoni fra persone di nazionalità italiana-inglese, e 3 italiana-spagnola.
E la motivazione è semplice. Ci muoviamo sempre di più intra-EU e ci interessa sempre di meno la nazionalità delle presone che incontriamo. Perché, alla fine della giornata, le differenze sono molte meno delle similitudini.
Quindi, il punto è questo. Un’unione nazionale Europea è inevitabile. Se non sarà la politica a prendere atto di questo, allora sarà la demografia. È solo questione di tempo prima che le nuove generazioni spazzino via qualunque confine interno fra stati europei. Convincere la politica di questo, e in particolare l’attuale EU burocratica, spetta a noi.