La politica della tautologia

Come dire sempre l'ovvio, annunciare sempre lo scontato, e trincerarsi dietro il banale.

La politica della tautologia

Oggi mi è capitato di vedere di sfuggita in TV uno Zingaretti che scandiva con decisione i sei punti programmatici fondamentali per un nuovo governo. Fra i punti elencati — troppo evanescenti perché io li ricordi — la mia attenzione è stata catturata dalla “semplificazione del fisco”.

Bene, direte voi, come si può essere contrari alla semplificazione del fisco? Ed è proprio questo il punto. Non si può.

Questo è un po’ il leitmotiv della discussione politica attuale. La politica della tautologia: dire sempre l’ovvio, sempre dichiarare lo scontato con il cipiglio del grande statista, strozzare in partenza ogni critica e discussione trincerandosi dietro proposte banalmente sempre vere.

Come si fa a essere a favore della complessità del fisco? Come si può essere contro la dignità? Contro l’abolizione della povertà? Contro la sicurezza?

Non si può. È questa la granitica corazza che avvolge e difende il vuoto cosmico della proposta politica. Una continua serie di proposte fantasma che hanno il solo scopo di distrarre l’attenzione.

Sia chiaro: la cosa non è nuova. Usare artifici retorici per portare consenso alla propria causa è una tecnica vecchia quanto la parola stessa. Il celebre “meno tasse” ripetuto ad ogni campagna elettorale da un secolo fa parte della stessa categoria. Tuttavia il livello attuale è diventato semplicemente insopportabile.

Non c’è niente al di fuori della tautologia. La prova? Che ormai questa tecnica è parte stessa dei politici. Non possono farne a meno nemmeno durante una conferenza stampa formale in un momento critico per il benessere della nazione.

E lo Zingaretti che elenca, serioso e convinto, sei punti banalmente veri e, in quanto tali, totalmente vuoti è lì a ricordarci proprio di questo.