La Verità che Libera (dalle responsabilità)
Spesso non scegliamo la verità più evidente, ma quella che ci esula dalle conseguenze.
C’è un filo conduttore che lega le più disparate teorie del complotto, ai populismi, alle nostre scelte politiche, alle nostre interazioni sociali, fino alle piccole dissonanze cognitive delle scelte quotidiane. Questo filo è la volontà di scegliere la verità che più ci deresponsabilizza.
(Sì, c’è sempre una scelta dietro il nostro credere a qualcosa. Che sia cosciente o no. È anche per questo che facciamo molta fatica a cambiare idea: significa accettare di aver fatto una scelta sbagliata.)
Non scegliamo la verità più semplice, ne tantomeno quella più evidente. Tendiamo, invece, a scegliere la “verità” più facile. Quella che ci toglie l’obbligo morale delle conseguenze e ci permette di non fare nulla senza sentirsi in colpa.
Scelte “Incoscienti”
Non è detto che sia una scelta cosciente. C’è una ben nota ipotesi nella teoria della mente che dice che dice che il ragionamento cosciente con cui arriviamo a una decisione sia in realtà solo una razionalizzazione a posteriori di una decisione presa già del nostro inconscio (link).
Esempio. Vediamo una fetta di torta sul tavolo, le varie componenti profonde del cervello arbitrano una scelta e solo dopo ci raccontiamo una storia sul perché sia ragionevole mangiare una fetta di torta nonostante l’evidenza, di cui siamo a conoscenza, che gli zuccheri facciano male alla nostra salute. Il ragionamento che facciamo fra noi e la voce nella nostra mente non ha importanza: la decisione era già stata presa.
Perché dovremmo prenderci la briga di trovare una ragione a posteriori? Probabilmente per questioni evolutive sociali. Gli uomini hanno vantaggi dallo stare in società e “apparire razionali” è una componente importante per l’accettazione all’interno di una comunità. Quindi immaginate che la vostra compagna o il vostro compagno vi becchino in cucina con il boccone di torta in bocca. È importante per il bene del vostro status sociale che voi abbiate pronta una buona spiegazione per giustificare le vostre azioni. Non potete certo passare per quelli che si abboffano senza motivo. E quindi via libera agli “altrimenti andava buttata”, o agli “ho fatto una camminata questa mattina quindi me la sono meritata”, o a qualunque altra scusa vogliate.
Scelte Immorali
Lo stesso discorso vale per le scelte etiche. Prima prendiamo la scelta più comoda e poi costruiamo l’impalcatura più o meno razionale che permetta di giustificare la nostra apparente immoralità. Dopotutto a nessuno piace passare per cattivo.
Così come razionalizziamo a posteriori la scelta di mangiare una torta che ci farà stare male, razionalizziamo a posteriori scelte che ci liberano dalla responsabilità di far star male gli altri.
Giustifichiamo scelte immorali a tutte le scale. Se so che “tanto poi mischiano tutto nello stesso camion di raccolta”, non farò nulla di sbagliato nel non fare la raccolta differenziata. Se “il COVID-19 non esiste o non è peggio di un influenza”, non farò nulla di immorale nel non accettare l’inconvenienza delle misure di riduzione del rischio. Se penso che “il cambiamento climatico non è frutto dell’uomo” non farò nulla di immorale nel non rinunciare al mio benessere di oggi per salvaguardare le generazioni future. E così via.
Queste giustificazioni mi hanno fatto pensare a quelle che, in criminologia e sociologia, vengono chiamate Tecniche di Neutralizzazione. Cito:
La «neutralizzazione» si assume quindi il compito di risolvere le dissonanze cognitive, superando (“neutralizzando”) i sensi di colpa e di vergogna, e il conflitto con la morale sociale, in modo da salvaguardare proprio l’adesione al sottostante sistema di valori comuni, altrimenti messa a repentaglio dal gesto scatenante.
Non notate una certa somiglianza? Credere alle verità deresponsabilizzanti svolge, in un certo senso, una sorta di neutralizzazione preventiva nei riguardi dell’ignorare le conseguenze morali delle nostre azioni.
Accettiamo le Responsabilità
Le realtà è che a ogni nostra azione corrisponde una qualche dose di responsabilità. Non esiste una verità in grado di liberarci dall’onere morale delle nostre azioni (o della nostra non-azione). Quale sia la scelta migliore per la società può e deve oggetto di sacrosanto dibattito (dopotutto l’Etica non è certo un problema risolto e da millenni filosofia e religioni si adoperano per dare una risposa). Ma per poter dibattere le conseguenze morali di un azione bisogna ammettere che tali conseguenze esistano, ed essere pronti ad accettarne gli strascichi.
L’aggressione Russa all’Ucraina è un esempio da manuale. Una situazione di estrema delicatezza in cui viene messa a dura prova la fibra morale di una nazione si è ridotta, nel momento in cui scrivo, in un continuo borbottio di verità deresponsabilizzanti che ci permettano di non fare nulla pur mantenendo “l’adesione al sottostante sistema di valori comuni”.
È come se ci trovassimo incastrati nel famoso “Problema del Carrello Ferroviario” e, invece di discutere su quale nostra azione sia moralmente migliore (ad esempio, azionare la leva uccidendo solo una persona invece di cinque), perdessimo tempo a cercare di lavarcene le mani. Che la colpa è di chi ha costruito il carrello, che forse i cinque legati ai binari in fondo se lo meritavano, che non è bene toccare la leva perché magari ci sloghiamo il polso, ecc… Tutto mentre il carrello continua la sua corsa.
Sono tutte discussioni interessanti, per carità, ma non ci salvano dalla realtà dei fatti che ora abbiamo solo la scelta di tirare la leva oppure no. E che anche le conseguenze del non tirare la leva ricadono interamente su di noi.
E non solo…
Ovviamente, il fascino delle verità deresponsabilizzanti non sono l’unica causa dell’adozione di scelte non razionali. La sensazione di far parte di un “gruppo morale” è altrettanto potente. Ma di questo, magari, parliamo un’altra volta.