L'Ovvio è Invisibile agli Occhi

Storia di come ci sia sfuggita per secoli una cosa che oggi sembra ovvia, nonostante ce l'avessimo davanti agli occhi.

L'Ovvio è Invisibile agli Occhi
Ritaglio dell'incisione del Thesaurus Opticus.

La vista, e per estensione gli occhi, sono da sempre metafora dell’ovvietà e della certezza. Basta guardarsi (sic.) attorno. “Credo solo a quello che vedo,” è la tronfia espressione di chi non si fida (per lo meno da San Tommaso in poi). “Vedere per credere” è il motto del venditore di pentole che millanta le incredibili capacità antiaderenti dei suoi prodotti. “Stropicciarsi gli occhi,” il cliché di chi fa difficoltà a capacitarsi della realtà.

Tuttavia, gli occhi mentono. Ci ingannano facendoci credere a cose che non esistono. Non è un caso che noi esseri umani, per evitare di perderci fra illusioni ottiche e miraggi, abbiamo sviluppato metodi deduttivi e di verifica empirica (leggi scienza) in grado di riuscire ad avvicinarci alla realtà anche quando gli occhi smettono di essere efficaci.

Eppure, credere solo a quello che si può vedere rimane il mantra di chi ha pochi argomenti. Basta farsi un giro su qualunque social network per fare pesca a strascico di casi di studio.

Ma non sono qui per parlare di questo, bensì del fatto che qualcosa che associamo così tanto all’ovvio, al banale, al certo, sia in realtà rimasto un mistero per la grandissima parte della storia umana. Un mistero su cui si sono arrovellati i migliori pensatori della nostra specie.

Il modo in cui funzionano gli occhi ci sembra disgustosamente banale: la luce rimbalza sugli oggetti ed entra negli occhi. Lo sanno anche i bambini.

Ma ci avete mai pensato bene? Provate a dimenticare per un secondo tutto ciò che sapete sugli occhi e sulla luce. Che cos'è la vista? Non è poi così banale, non è vero?

È proprio per provare a capire come siamo arrivati alla banalità di oggi che dobbiamo prima fare un passo indietro. Anzi, molti passi indietro. Fino a Platone e alla diffusione delle teorie emissioniste.

Teorie Emissioniste

Per quanto strano possa sembrarci oggi, una delle teorie più accreditate per spiegare il fenomeno della vista implicava la fuoriuscita di qualcosa dagli occhi. L’entità di tale qualcosa variava da filosofo a filosofo, ma il principio alla base rimaneva lo stesso: così come i ciechi hanno bisogno di un bastone per "vedere" il mondo che li circonda, così gli occhi devono “andarsi a prendere” l’immagine degli oggetti per poi riportarla indietro. Dopotutto, per quale motivo gli oggetti dovrebbero entrarci negli occhi di loro spontanea iniziativa?

Il campione più famoso di queste teorie, chiamate comunemente teorie emissioniste, era nientemeno che Platone, probabilmente il filosofo più influente dell’antichità. Scrive Platone nel Timeo:

“Il fuoco puro, che sta dentro di noi ed è della stessa natura di questo fuoco del giorno lo fecero scorrere liscio e denso attraverso agli occhi, […]. Quando dunque v’è luce diurna intorno alla corrente del fuoco visuale, allora il simile incontrandosi col simile e unendosi strettamente con esso costituisce un corpo unico e appropriato nella direzione degli occhi, dove la luce che sopravviene dal di dentro s’urta con quella che s’abbatte dal di fuori. E questo corpo, divenuto tutto sensibile alle stesse impressioni per la somiglianza delle sue parti, se tocca qualche cosa o ne è toccato, ne trasmette i movimenti per tutto il corpo fino all’anima, e produce quella sensazione per cui noi diciamo di vedere.” – Platone, Timeo, Capitolo XVI. (Traduzione di Emilio Piccolo)

In pratica, Platone identificava la sostanza emessa dagli occhi con del "fuoco purissimo." Esatto. Una cosa come il Koshiryoku Beam di Mazinga.

Mazinga dimostra le sue proprietà emissioniste.

A differenza di Mazinga, però, il raggio di fuoco non distrugge l'oggetto su cui si abbatte. Invece, tale "corrente di fuoco visuale" riconosce nell'oggetto illuminato dal Sole (altra fonte di fuoco) qualcosa di "simile." E poiché simile cerca simile, il raggio visuale, l’oggetto illuminato e il sole diventano una cosa sola, creando così un collegamento con l'anima.

Nella sua apparente assurdità, la teoria Platonica dei raggi di fuoco descrive piuttosto bene il fenomeno della vista dando una spiegazione a concetti evidenti come "perché non possiamo vedere al buio" o "perché non possiamo vedere dietro gli angoli."

Un altro importante e influente proponente di una teoria emissionista era Galeno, importante e prolifico medico del II secolo. Secondo Galeno, non sono gli occhi a emettere fuoco. Piuttosto, il cervello invia l'anima (il pneuma) negli occhi. Lì, il pneuma trasforma l'aria a contatto che a sua volta trasforma l’aria un po’ più avanti finché, tramite una reazione a catena, questa “aria nuova” raggiunge l'oggetto permettendo all'immagine dell'oggetto di navigare all'indietro fino agli occhi.

Tolomeo, di astrologica fama, studiò a lungo l'ottica introducendo concetti come la rifrazione e lo studio del colore. Anche lui era un fervente emissionista.

Al-Kindi (in latino Alchindus), geniale filosofo arabo del IX secolo che ha dato contributi importantissimi nella musica, matematica, chimica e ottica, era anche lui emissionista.

A pensarci con occhi (appunto) moderni, sembra tutto molto strano. Come facevano personaggi così intelligenti, giganti del pensiero umano, credere in teorie che ci appaiono così strampalate?

Mettersi nella testa di un uomo dell'antichità è quasi impossibile, ma ci sono un paio di considerazioni che possono aiutare. La prima è che nell’antichità la luce non era considerata come qualcosa che esiste in natura. Bensì come esperienza soggettiva; qualcosa che emerge dalla percezione stessa (parafrasando una massima Zen, di che colore è un oggetto illuminato se non c'è nessuno a vederlo?).

La seconda considerazione è che queste teorie, per quanto false, spiegavano molto bene il fenomeno della visione. Spiegavano perché non vediamo in assenza di luce. Spiegavano perché non vediamo dietro gli angoli. Spiegavano gli specchi e la rifrazione. Ancora oggi molti problemi di ottica sono più facili da visualizzare e da risolvere immaginando "raggi visivi" che partono dagli occhi piuttosto che considerando tutte le particelle di luce del mondo rimbalzino e vengano convogliate nelle nostre pupille.

Ovviamente, però, le teorie emissioniste non erano prive di problemi. Fra i più pressanti, ad esempio, era difficile spiegare come facessero i raggi, le reazioni, il pneuma, e i bastoncelli che originavano dagli occhi a raggiungere oggetti lontanissimi come le stelle e i pianeti.

Era per questo che, fin da subito, l'emissionismo dovette fare i conti con una teoria speculare: le teorie immisioniste.

Teorie Immissioniste

Per le teorie immissioniste, la vista è causata da qualcosa che entra negli occhi. Spoiler: è la teoria giusta. Ma per arrivare a essere accettata ci sono voluti migliaia di anni.

Non che mancassero sponsor di peso. Uno dei primi a proporre con solidi argomenti una teoria immissionista era un pezzo grosso: Aristotele.

Secondo Aristotele, la visione viene stimolata da "sostanze" esterne (con molte virgolette). Perché queste sostanze attivino la vista è fondamentale che fra l'occhio e l'oggetto ci sia una qualche forma di elemento trasparente e illuminato. L'aria è sicuramente il candidato principale, ma anche l'acqua, ad esempio, può essere un valido sostituto.

La teoria di Aristotele è molto vicina alla verità, ma è interessante notare come, se fosse vera, non potremmo vedere nulla nel vuoto. Cosa che oggi possiamo provare essere falsa molto facilmente ma che, comprensibilmente, era lontana dall'esperienza aristotelica.

Un altro influente proponente di teorie immissioniste erano gli atomisti, fra cui Epicuro e, successivamente, Lucrezio.

Secondo gli atomisti, ogni oggetto bagnato dal sole rilasciava continuamente un sottile strato di se, una pellicola di atomi chiamato eidola in greco e imago in latino. Questa scorza di atomi si espandeva in tutte le direzioni e, entrata in contatto con gli atomi dell'anima attraverso gli occhi, trasmetteva l'immagine dell'oggetto.

Era una teoria affascinante ma aveva anch'essa qualche grossa lacuna. Per esempio, non era chiaro come fosse possibile che l'eidola di oggetti giganteschi come le montagne potesse entrare negli occhi (che sono molto più piccoli di una montagna [citazione necessaria]).

Gli epicurei controbattevano con alcune teorie che descrivevano come l'eidola si riducesse man mano che si propagava. Ma era una spiegazione piuttosto vaga sul perché e sul come l'eidola si riducesse.

La Svolta

Come abbiamo visto, teorie e immissioniste ed emissioniste avevano tutte problemi difficili da risolvere razionalmente. Entrambe, continuarono per secoli a essere oggetto di dibattito con le teorie emissioniste nel ruolo delle favorite (se non altro per il loro essere più intuitive).

Il punto di svolta arriva nel decimo secolo d.C. da qualche parte nell'odierno Iraq. L'autore del più grande passo avanti nel dirimere una questione tanto basilare dell'essere umano è un filosofo di cui probabilmente non avete mai sentito parlare: Abū ʿAlī al-Ḥasan ibn al-Ḥasan ibn al-Haytham, per gli amici, Alhazen. (Se ne avete sentito parlare, lasciatemi dire che ciò mi renderebbe molto orgoglioso dei lettori dell'Ornitorinco.)

Alhazen come appare sulle banconote irachene da 10 dinari.
Alhazen come appare sulle banconote irachene da 10 dinari.

al-Haytham è considerato, a buona ragione, il padre dell'ottica moderna per il suo sistematico lavoro (sorprendentemente moderno dal punto di vista scientifico) di demolizione delle passate teorie della visione, e in particolare di quelle emissioniste.

Tutto nasce con una semplice obiezione: tutte le teorie emissioniste contengono al loro interno una teoria immissionista. Prendiamo i raggi di fuoco di Platone: abbiamo qualcosa che va dagli occhi all'oggetto, ma anche qualcosa che poi "torna indietro" per trasmettere l'informazione. Quindi, a questo punto, tanto vale puntare esclusivamente sulla seconda e togliersi dalla difficoltà di teorizzare cose che escono dagli occhi (con tutti i problemi che abbiamo visto).

L'intuizione geniale di al-Haytham fu di argomentare con esperimenti sia mentali che pratici, che tale mezzo non era altro che la luce che, propagandosi in linea retta, rimbalzava sugli oggetti finendoci negli occhi.

Alleluia!

Da questa piccola ma fondamentale proposta, al-Haytham ne derivò anche che la luce è un fenomeno indipendente dall'osservatore (ovvero, la luce esiste anche se non c'è nessuno a guardarla), che la visione occorre nel cervello, che i colori dipendono da come la luce interagisce con gli oggetti, e così via.

Schema anatomico della vista nel Kitab al-Manazir (Libro dell'Ottica), scritto da al-Haytham fra il 1011 e il 1021. Da notare la descrizione del chiasmo visivo, ovvero che l'occhio destro è collegato al lato sinistro del cervello e viceversa.
Schema anatomico della vista nel Kitab al-Manazir (Libro dell'Ottica), scritto da al-Haytham fra il 1011 e il 1021. Da notare la descrizione del chiasmo visivo, ovvero che l'occhio destro è collegato al lato sinistro del cervello e viceversa.

Insomma, un lavoro titanico che impiegherà altri 400 anni per arrivare in Europa e che influenzerà, da li in poi, pensatori come Keplero.

Non fermarsi agli occhi

Ho raccontato questa breve storia perché ho ritenuto che fosse uno splendido esempio di come persino le cose che consideriamo scontate hanno alle spalle storie travagliate, giganteschi svarioni, e, in fondo, non sono affatto scontate come sembra.

La storia della vista ci insegna proprio che non possiamo fidarci degli occhi e che possiamo solo affidarci alla scienza, ai dati, alla ragione e ai fatti.

Ma la conclusione migliore l'ho trovata nelle parole dello stesso al-Haytham.

La responsabilità dell'uomo che investiga gli scritti dei sapienti, se il suo scopo è apprendere la verità, è di trasformarsi nel nemico di tutto ciò che legge, e [...] attaccare tali tesi da ogni lato. Ma dovrebbe anche sospettare di se stesso mentre esegue tale esame critico, così che possa evitare di cadere vittima dei propri pregiudizi e della propria indulgenza. — al-Haytham

Fonti e Altro

  • Gran parte dell'idea e delle fonti per questo articolo vengono da "Philosophy in the Islamic World" di Peter Adamson (il quale tiene anche una fantastica e longeva serie di podcast sulla storia della filosofia). In particolare dal capitolo "Eye of the Beholder: Theories of Vision."
  • Per altre informazioni su al-Haytham, la pagina Wikipedia inglese è un ottimo punto di partenza (quella italiana è un po' più fantasiosa, diciamo).