Perché è giusto

A volte le cose vanno fatte soltanto perché è giusto farle. Anche se non ci sono probabilità di vittoria a medio termine.

Fra la fine del 1700 e il 1860, centinaia, migliaia di uomini negli Stati Uniti hanno partecipato attivamente nella cosiddetta Underground Railroad (ferrovia sotterranea); una serie di percorsi segreti e rifugi utilizzati per assistere gli schiavi neri del sud a fuggire dalla loro miserabile condizione. Sebbene il nome faccia riferimento alle ferrovie, in genere, le rotte erano composte da differenti mezzi di trasporto (barche, carretti, treni e spesso lunghe camminate a piedi). Le rotte conducevano negli stati del Nord, in Canada, in Messico e in Florida, almeno fino al 1821, quando la Florida passò dalla Spagna agli Stati Uniti esattamente con l’intento di eliminare un santuario sicuro per gli schiavi fuggitivi.

Alcune tratte della Underground Railroad.

Come dicevo, l’impegno di uomini e donne nell’assistere la fuga degli schiavi di colore è durata più di 60 anni coinvolgendo tre generazioni di Americani. Ad oggi è facile pensare che quelle persone abbiano solo fatto ciò che era normale, ma in realtà, la questione dovrebbe far riflettere molto di più.

Levi Coffin (28 Ottobre 1798 —16 Settembre 1877) era un abolizionista che gestiva la tratta della Underground Railroad fra Indiana e Ohio. Più di 1000 schiavi sono stati accolti nella sua casa, soprannominata “Stazione Centrale”.

La domanda che dobbiamo farci è perché lo facevano? Se ci togliamo gli occhiali dell’uomo del 2018, la risposta è meno scontata di quanto sembri.

Questi uomini hanno lottato per decenni, molti non hanno mai visto l’abolizione della schiavitù che sognavano. Hanno combattuto mettendo a repentaglio la loro sicurezza, e non di rado la vita. Lo hanno fatto nonostante violasse le leggi, nonostante il consenso popolare, nonostante i danni economici, nonostante i loro concittadini gli davano dei traditori.

E lo hanno fatto per un solo motivo: perché era giusto.

Harriet Tubman (1822–10 Marzo 1913), una volta fuggita dalla sua condizione di schiavitù tornò per 13 volte negli stati schiavisti per aiutare la fuga di 70 famiglie. Dopo l’abolizione della schiavitù, si occupò di movimenti a favore del suffragio universale.

Lo hanno fatto perché sentivano intimamente che era la cosa giusta da fare, che ridurre la sofferenza nel mondo valeva tutto questo, sapevano che il tempo gli avrebbe dato ragione anche se non sarebbero vissuti abbastanza da vederne i risultati.

Non è un pensiero banale. Non è una cosa scontata. Anche oggi, molte persone con cui parlano sentono addosso lo scoramento di una flessione negativa e il rigurgito di temi che sembravano moribondi: nazionalismo, maschilismo, razzismo e omofobia sembrano trovare rinnovato vigore e non sappiamo se siano le ultime energie di una bestia morente o l’inizio di una nuova stagione di lotta.

Molte persone sembrano scoraggiate dal vedere che il mondo stia flettendo verso l’ingiustizia. E le persone che invece cavalcano quest’onda sembrano puntare molto su questo. Non sono rare le volte che mi è stato intimato di arrendermi. Come se la giustizia, quella universale, fosse qualcosa di modificabile tramite un vago concetto di volontà popolare.

Non è così. Non mi arrendo. Non è che la resistenza inizia ora: in realtà, non si è mai fermata. Quando mi capitano queste situazioni ripenso a tutti coloro che nella storia hanno combattuto per rimuovere dal mondo disuguaglianze violente e ben peggiori delle caricature attuali. E lo hanno fatto anche quanto l’intero mondo era contro di loro. Lo hanno fatto quando il loro stessi vicini di casa erano pronti ad insultarli e denunciarli.

Noi, che siamo in una situazione ben più agiata, dovremmo forse arrenderci? No. Non lo farò. E come me sono sicuro faranno tutte le persone che conosco. Anche se il futuro sarà in salita e cose scontante diverranno non più scontate. Perché è giusto così.