Questione di merito
Qualsiasi sia la vostra opinione in merito.
Questo è un piccolo addendum al mio ultimo articolo in cui esponevo le mie perplessità su come la sinistra si facesse sfilare troppo facilmente parole vitali. Per capire quanto la situazione sia ormai ridicola, basta pensare che una frase “voglio che lo stato aiuti la mia famiglia e dia sicurezza alla mia città” (ovvero, la comprensibile base dei bisogni umani, senza nemmeno scomodare Maslow) suoni ormai come pericolosamente reazionaria anche senza alcun contesto. (Poi però la sinistra si chiede perché non riesca più a farsi capire dalla “gente comune,” come dicono loro; “gente” come dico io).
In questi giorni c’è un nuovo esempio. La sinistra italiana si è impelagata nell’ennesima battaglia sintattica e non sostanziale. La parola in questione è “merito.” Che sia una battaglia sintattica è evidente dal fatto che nemmeno loro sanno bene a cosa si stanno opponendo. Ho letto otto articoli diversi e otto definizioni di “merito” diverse. Ho quindi l’impressione che ognuno costruisca la sua propria definizione di “merito” e poi ne scriva un’accorata catilinaria. C’è chi critica la versione “distorta” del merito. C’è chi parte proprio da plateali fallacie logiche per poi ricamarci sopra per 2000 parole. Altre, invece, contengono molti punti condivisibili, ma non si capisce cosa abbiano a che fare con il “merito” (per lo meno al di fuori della loro arbitraria declinazione della parola). Tutto questo si riduce a un esercizio di stile, talvolta interessante e con alcuni spunti filosofici che appoggio, ma che rende solo tutto più confuso.
Quindi non ho desiderio di partecipare a tale mattanza ideologica. Non avete certo bisogno della nona incongruente definizione. Ci tengo però a ribadire il vizietto di lasciare alla destra parole semplici e di uso comune e consegnando loro la posizione di vantaggio sulla battaglia culturale.
Perché sono sicuro che l’idea della destra di “merito” sia lontana anni luce dalla mia; che non è condizione ex-ante per una scelta, ma giustificazione ex-post per privilegi e posizioni di rendita (ovvero il contrario letterale di merito; ecco, temo di aver introdotto la nona definizione). Lo so. Perché basta guardare alla lista dei ministri. Basta osservare il gorgogliante corporativismo che la compagine governativa porta avanti, per capire che il loro merito è un’aberrazione.
Ma io ne faccio una questione fattuale, non della parola. Ne tantomeno del concetto. Perché la “gente comune” la parola e il concetto lo capiscono bene. Non perché ne leggano in articoli, ma perché lo vivono tutti i giorni. Quando scelgono a quale meccanico lasciare l’auto, quale badante assumere per i proprio cari, a quale scuola lasciare i propri figli, quale idraulico chiamare, quale caffè comprare, e altre diecimila scelte quotidiane. Scelgono coloro che gli sembra il migliore.
Il contrario intuitivo di meritatamente è ingustamente, a torto. Sono sicuro che con abbastanza tempo a disposizione possiate spiegare a tutti perché in realtà ciò non sia vero (dopotutto Gōngsūn Lóng argomentava senza problemi che “un cavallo bianco non è un cavallo”). Ma va ricordato che se arrivi al punto che devi spiegare il tuo slogan, parti già in svantaggio.