Su Censura, Piattaforme e Internet

Breviario non tanto breve per capire di cosa stiamo parlando.

Su Censura, Piattaforme e Internet

Ogni volta che qualcuno viene bannato da Twitter o Facebook tornano con estrema puntualità gli scontri fra chi si affretta a denunciare l’affronto alla sacra libertà di espressione e chi proclama il sacrosanto diritto di limitare l’accesso ad una piattaforma privata.

Come avrete immaginato, il problema è più complesso di quanto queste due fazioni manichee lasciano intendere e, in un certo senso, hanno ragione entrambe. Il punto è che libertà privata, libertà di internet, libertà di associazione e libertà di espressione sono tutte cose diverse e non sovrapponibili. Quando cerchiamo di unirle in unico grosso rotolo di “libertà” finiamo solo con matasse incoerenti.

Poiché questa discussione torna ciclicamente, metto in fila gli elementi in questo articolo. Non lo faccio per dirimere la questione (che per sua natura è collegata a più profondi questioni di etica personale) ma per elencare alcuni punti fondamentali che, mi auguro, aiutino a creare una discussione più utile dell’attuale guerra fra bande.

1) La censura è tale se è imposta dalle autorità

Iniziamo a togliere subito un argomento dal tavolo. Bannare, espellere o silenziare una persona da un social network o da qualunque piattaforma privata non è censura. Le parole sono importanti e il loro uso improprio è l’arma principale della propaganda, non della discussione.

La censura, per sua definizione è tale solo se proviene da un autorità ed è calata indistintamente su ogni mezzo di comunicazione. Così, infatti, è definita dalla Treccani:

a. Esame, da parte dell’autorità pubblica (c. politica) o dell’autorità ecclesiastica (c. ecclesiastica), degli scritti o giornali da stamparsi, dei manifesti o avvisi da affiggere in pubblico, delle opere teatrali o pellicole da rappresentare e sim., che ha lo scopo di permetterne o vietarne la pubblicazione, l’affissione, la rappresentazione, ecc., secondo che rispondano o no alle leggi o ad altre prescrizioni.

Questo è il punto che una delle fazioni di solito argomenta con la metafora del “club privato”. Ognuno, dicono, nelle proprie associazioni private è libero di dare o negare l’accesso a chi si vuole. Questo è ovviamente un principio sacrosanto. Il problema è che quelli che parlano di “censura” non intendono “censura” e quindi la discussione si avvita su se stessa dopo mezzo secondo. Quindi evitiamo la parola censura, carica di connotazioni specifiche, e concentriamoci sulla più ampia libertà di espressione.

Qualcuno, ovviamente, può sollevare il tema se Twitter e Facebook siano una nuova forma di autorità. Questo è tutto un’altro problema che affronterò nel Punto 3.

2) La libertà di espressione è diversa dal diritto di piattaforma

Altro elemento di estrema confusione è il mescolare la libertà di espressione e di parola con il diritto di piattaforma (o diritto di pubblicazione).

Via XKCD

In parole povere, la libertà di dire ciò che si vuole implica solamente che il governo (o le autorità di cui al punto 1) non possono arrestare un individuo per quello che dice o per le sue proprie opinioni. Non significa, invece, che ciò che si dice o le proprie opinioni abbiano il diritto ad essere trattate alla pari di tutte le altre. La scelta di come trattare quest’ultime (accettarle, dibatterle, o semplicemente ignorarle) è nelle mani dei privati (individui, società, gruppi o associazioni). Non esiste nessun diritto di piattaforma (salvo rare specifiche eccezioni quali le leggi di par condicio che, tuttavia, sono sempre ben delimitate).

E, oserei dire, per fortuna. Garantire un diritto di piattaforma ad ogni pensiero ed opinione aprirebbe un ginepraio di problemi che sarebbe lungo e noioso anche solo elencare. Pseudoscienze conclamate quali il Creazionismo, l’Anti-vaccinismo, l’Astrologia o il Terrapiattismo avrebbero diritto di pari rappresentanza in qualsivoglia gruppo privato.

Inoltre, va notato che anche la libertà di espressione ha dei limiti. Come società abbiamo accettato di limitare la libertà di espressione per garantire il benessere collettivo. La calunnia, l’incitazione alla violenza, al suicidio e all’insurrezione armata, ad esempio, non sono protetti dallo scudo alla libertà di espressione perché ritenuti dannosi per le libertà altrui. Sono questioni spinose e che si possono legittimamente discutere, ma converrete con me che è tutto un’altro discorso.

3) Il Problema di Twitter, Facebook e le altre grandi società

A questo punto c’è la consueta obiezione: Twitter e Facebook (e chi per loro in futuro) sono diventati talmente grandi e importanti che essere cacciati da Twitter o Facebook è equivalente ad essere censurati. Twitter e Facebook sarebbero, quindi, equiparati ad un autorità governativa/statale.

Ma a questo punto non so se vi rendete conto del vero problema. Discutere se è giusto o meno che Twitter abbia bannato Tizio o Caio in queste condizioni è come discutere della vernice scrostata delle finestre di una casa che va a fuoco.

Il problema non è la censura o la libertà di espressione, semmai, è il fatto di aver lasciato accumulare a società private un potere equivalente a quello di un autorità governativa. E, invece di fare in modo che non abbiano questo potere, in tanti discutono di come sarebbe bello e giusto se Twitter o Facebook si comportassero ancor di più come un autorità governativa, giusto in modo un po’ più ultraliberale.

Per usare una metafora editoriale, la libertà di stampa non è in pericolo se un giornale decide di non pubblicare un articolo (dopotutto mica possiamo, ad esempio, costringere Le Scienze a pubblicare un articolo di un lunacomplottista): il problema è quando tutti i giornali sono in mano ad una sola persona.

La soluzione auspicata da quelli che biasimano la decisione di Twitter di bannare Trump non è quella di avere più giornali indipendenti ma di far comportare i dittatori dei media in modo un po’ più democratico. Grande soluzione. Una garanzia di successo. Chissà perché nessuno ci ha pensato in Russia o in Ungheria.

In breve: discutiamo se i “dittatori digitali” siano giusti o sbagliati invece di pensare che innanzitutto non dovremmo avere alcun “dittatore digitale”.

Per risolvere il problema andrebbe tolto il potere alle grandi società tecnologiche, non sperare di addomesticarle nella speranza che si comportino bene. Impedire a Facebook di controllare monoliticamente Facebook, Whatsapp e Instagram, ad esempio, sarebbe già un bel passo avanti. Garantire l’apertura della rete ed evitare questi giardini murati sarebbe ancora meglio, ma non la vedo una soluzione immediata.

Conclusione

Questo “breviario” è andato già fin troppo per le lunghe. Mi limiterò quindi a questi 3 punti (anche se ce ne sono almeno altri 3 di cui forse parleremo in seguito).

Il mio augurio è però di non sprecare queste occasioni. Discutiamo dei veri problemi e delle vere soluzioni senza essere portati fuori strada dai sofismi tanto cari a coloro innamorati della propria voce.