Su Statue, Storia e Memoria

La mia parziale opinione su statue, storia e memoria, in un periodo in cui tutto finisce nel fiume.

Su Statue, Storia e Memoria

Uno degli argomenti caldi di questo periodo riguarda i recenti movimenti iconoclaste che, partiti dagli Stati Uniti, si sono allargati anche in Europa con il lancio nel fiume della statua del commerciante di schiavi Edward Colston a Bristol o gli atti vandalici sulle statue equestri di Leopoldo II di Belgio.

La questione non è nuova ed è ricca di interessanti spunti di riflessione. Sfortunatamente, come al solito, il frenetico mondo dei Social ha ammazzato la discussione dividendo il mondo nelle solite due fazioni manichee: quelli per cui ogni statua o effige sia, per il solo fatto di esistere, un oggetto degno di rispetto e la cui presenza deve essere preservata in nome di non si sa quale principio universale e quelli per cui la lente etica contemporanea vada applicata indistintamente a qualunque evento e personaggio della storia tracciando nette linee di demarcazione fra ciò che è permesso e ciò che deve essere rimosso.

Non vi sorprenderà che entrambe le fazioni hanno la loro generosa fetta di errori. Io mi pongo in un contesto più sfumato e ammetto di avere opinioni diverse su ogni singolo caso e sono pieno di dubbi e incertezze. Per argomentare tutto ciò purtroppo non posso usare la schiettezza di un tweet e sono costretto ad utilizzare il supporto desueto e verboso dell’articolo per argomentare la mia idea che, in quanto concentrata sulle sfumature, ha bisogno del suo spazio.¹

Statue, Memoria e Storia

Uno delle argomentazioni contro la rimozione delle statue è che le statue rappresentano una testimonianza storica. Questa è la prima delle tante semplificazioni che vanno di moda. La cosa è ovviamente più complicata di così.

La fonte di confusione primaria è la mescolanza fra storia e memoria. La distinzione è importante ed è ben raccontata da Alessandro Barbero in quel video. Mi limito qui a riassumere il punto il meglio possibile: la storia è il susseguirsi degli eventi e dei fatti così come sono accaduti, la memoria invece è un concetto più complesso ma, fondamentalmente, è esplicitamente scelta da una comunità e varia da persona a persona. In breve: di storia ce n’è una ma di memorie ce ne sono tante quante sono le persone.

Ad esempio le lotte di liberazione dal nazifascismo dei partigiani sono eventi storici ma la memoria al riguardo varia da persona a persona. Chi ha avuto il nonno partigiano avrà un memoria dello stesso evento storico completamente diversa da quella di una persona il cui nonno è stato ammazzato dai partigiani.

Come società, collettivamente, abbiamo scelto di celebrare la memoria della liberazione in un modo perché i valori della liberazione sono, per fortuna, più vicini a quelli della nostra società rispetto a quelli del nazifascismo.

Cosa ha tutto questo a che vedere con la rimozione delle statue? La risposta è che le statue sono memoria, non storia (alla banale obiezione risponderò tra poco). Le statue vengono erette per celebrare e ricordare la memoria di una persona o di ciò che la persona rappresenta. Non erigiamo statue per ricordarci di eventi storici a caso, erigiamo statue e monumenti per ricordarci di persone ed eventi di cui condividiamo la memoria. Le statue non sono segnalibri della storia, sono dichiarazioni di intenti.

In quanto memoria è chiaro quindi che quando i valori che l’hanno eretta cambiano, la statua diventa un corpo estraneo nella città e nella società. Una ciste attorno al quale coagula il malcontento di chi da qui valori non si sente rappresentato.

“E allora rimuoviamo anche le statue degli imperatori romani!”

Essendo la memoria un fatto umano e personale legato alle società contemporanee è naturale che sia impermanente. Con il tempo la memoria svanisce inesorabile lasciando dietro solo lo scheletro osseo degli eventi storici. Non serve nemmeno molto tempo: il risorgimento italiano è già ormai ai confini dalla memoria collettiva come è ben evidenziato dal fatto che gettiamo Mazzini e Vittorio Emanuele II più o meno nello stesso calderone.

Il fatto per cui “e allora rimuoviamo anche le statue degli imperatori romani” è un’obiezione tanto naturale quanto errata è proprio questo. Gli imperatori romani sono vissuti più di 1600 anni fa. Nessuno ormai ne condivide la memoria e, nonostante le illusioni di molti nazionalisti, nessuno può vantarne l’eredità diretta.²

Nessuno guarda una statua di un imperatore romano e si sente legittimamente responsabile di ciò che hanno fatto in vita, ne tanto meno affetto (nessuno credo senta come un dolore personale che i propri avi siano stati schiavizzati da, che ne so, Nerone). Non c’è più memoria dell’Impero, qualunque evento è stato scarnificato dal tempo. Rimane solo la storia. Per questo la statua di un imperatore romano non rappresenta valori etici in contrasto con quelli avvallati da un popolo ormai sparso dal vento del tempo.

Ovviamente questo dipende più dal momento della loro erezione piuttosto che da ciò che raffigurano. Ignorare il fattore temporale è un errore piuttosto comune. Se, ad esempio, qualcuno decidesse di erigere oggi una statua Domiziano per celebrarne le lodi e le azioni riceverebbe sicuramente qualche giustificata lettera di protesta e la statua sarebbe sottoposta a qualche scrutinio ulteriore.

La Statua non è la persona: è l’idea

Nel momento in cui scrivo è molta attiva la discussione sul danneggiamento delle statue di Cristoforo Colombo negli Stati Uniti. Vale la pena guardare alla cosa alla luce di quello che abbiamo detto fin’ora.

C’è memoria in Cristoforo Colombo? Mi sento di dire di no. Cristoforo Colombo è una figura importantissima per la storiografia occidentale ma la sua rilevanza si ferma la. Trovo abbastanza ridicole le argomentazioni di quelli che difendono Cristoforo Colombo tout court, sia quelli che lo attaccano dimenticandosi che è passato più di mezzo millennio dalla sua nascita a oggi.

Valutare gli uomini del passato con la lente etica contemporanea è un grosso errore. Questo non significa non poter dire che Cristoforo Colombo ha, suo malgrado, messo in moto secoli di sofferenza e dolore umano o che, dal punto di vista moderno continuare a celebrare che “Colombo ha scoperto l’America” è un sciocco come dire che mia madre ha scoperto casa mia quando è venuta a trovarmi la prima volta: c’era andata gente prima e, soprattutto, c’era già gente quando è arrivato. Tuttavia è ingeneroso gettare sul povero Cristoforo il peso di un’evoluzione e crescita etica umana che non ha avuto modo di conoscere. Perché era morto: cosa che causa un notevole ostacolo al pentimento e all’abiura.

In breve, il processo di contestualizzazione moderna ci garantisce il diritto di giudicare le conseguenze e le azioni di un personaggio storico dall’ottica privilegiata del nostro futuro ma non può ignorare che ogni uomo è figlio del suo tempo e come tale va moralmente valutato.

Ma se l’uomo Cristoforo è una cosa senza memoria, la statua è un’altra. La statua, specie se costruita 500 anni dopo, rappresenta l’idea e la memoria del periodo in cui si è deciso di erigerla. E in quanto memoria – avrete ormai capito – è esposta ad un mare di problemi. Nel caso specifico le statue di Colombo negli Stati Uniti sono in gran parte state costruite fra fine ‘800 e metà del ‘900. Non mezzo millennio fa. E in quanto recenti sono cariche di “memoria”. E poiché ogni statua ha la sua storia, ogni statua è un caso a sé.

Da un lato Colombo è il simbolo di una visuale occidentale-centrica, dall’altra molte statue in USA erano state erette come risposta al razzismo anti-italiano di quegli anni, oppure donate dai genovesi per ingenuo orgoglio nazionale nel vedere un loro “concittadino” dare il nome a città nella “grande America”. Personalmente, le trovo innocue e al massimo ingenue: espressione di un periodo in cui l’occidentico-centralità della società era data per scontata ma che hanno perso ormai qualunque valore.

Un caso totalmente diverso, ad esempio, è quello delle statue Confederate. Le state in questione sono quasi tutte state erette fra il 1900 e il 1970 negli stati del Sud in risposta ai movimenti dei diritti civili con l’esplicito intento di ricordare agli americani di colore “da dove venivano”. Sono l’esplicita asserzione di domino della maggioranza bianca di quegli stati sulla minoranza di colore. Vi stupisce se qualcuno ne voglia la rimozione? La persona rappresentata in quelle statue cade totalmente in secondo piano. Sono statue erette per fini politici e da fini politici sono costantemente attaccate.

Come vedete è un gran casino. Chi vi propone una regola netta che copre universalmente sia le statue di Budda di Bamiyan che una statua di bronzo di uno schiavista vecchia di 50 anni sta usando la semplificazione per prendere in giro voi oppure prende in giro se stesso.

Lo sfumato confine fra storia e memoria

Il motivo per cui tutto questo è complicato è che, come in tante cose della vita, non è possibile tracciare un confine univoco fra giusto e sbagliato. Come abbiamo detto, la memoria appartiene alle persone e le statue sono espressione di memoria molto più che di storia. In un certo senso, quindi, appartengono alle persone e, poiché la cornice etica di una società non è mai ferma, sono e saranno sempre oggetto di pulsioni e conflitti sociali.

Eppure, ad un certo punto, impercettibilmente, le statue diventano storia, memoria, testimonianza e reperto. Accade lentamente e a velocità variabili. Un po’ come per gli edifici, le auto e i mobili, qualcuno ogni tanto prova a stabilire una data oltre la quale un oggetto diventa “d’epoca” o di “rilevanza storica” siano essi 30, 75, o 100 anni.

Ma le statue e i monumenti sono intrisi di valori simbolici molto più che un auto o una casa (con le dovute eccezioni). Quando allora un monumento diventa reperto?

Non c’è una risposta. Con distacco mi sento solo di dire che non c’è un giusto e sbagliato universale e che bisogna rassegnarsi alla plasticità della contemporaneità e all’impermanenza della memoria.

La distruzione come atto di creazione

Un altro aspetto trascurato da chi si oppone a qualunque rimozione il fatto che la “distruzione” è di per se un atto di creazione. La storia e la memoria sono ineludibili: non si può distruggere il simbolo di una memoria senza crearne un’altra.

La storia è piena di sostituzioni e distruzioni che hanno gettato le basi per nuove memorie e nuova storia. È sempre stato così e così sarà. Valori che ora ci sembrano universali verranno macinati dalla ruota del tempo. Il fatto che consideriamo lo stato attuale delle cose come qualcosa da preservare a tutti i costi ricade nella cosiddetta “illusione della fine del tempo”.

Nel momento in cui la statua di Edward Colston è precipita nel fiume si è creato un nuovo evento storico e una nuova memoria condivisa in opposizione alla ormai debole e superata memoria rappresentata dalla statua. Se questa memoria sia poi condivisa e accettata dalla società è un altro paio di maniche e può essere ovviamente oggetto di dibattito.

Tuttavia, l’unico calcolo da fare in questo caso è se il valore di ciò che si è creato è più grande di ciò che è andato distrutto (è un altro calcolo soggettivo, lo so).

Il concetto che la distruzione possa essere creatrice è magnificamente rappresentato dalla statua del dittatore paraguaiano Alfredo Stroessner: la sua distruzione è ora a sua volta un potente simbolo di arte e memoria che non sarebbe potuto nascere altrimenti.

Questo ci suggerisce però un modo di procedere: se il problema è la memoria celebrata dal monumento lo si può sostituire senza sostituirlo semplicemente incapsulandolo all’interno di un nuovo monumento che lo contestualizzi e trasformi nella rappresentazione di una nuova memoria (ovviamente una volta rimosso secondo coscienza comune il problema della storicità di cui parlavamo prima).

Se la statua di Colston venisse ripescata e ricollocata spezzata e supina con una targa che commemora il momento in cui l’occidente ha rifiutato di nuovo con forza gli errori che ha commesso nella sua storia, non sarebbe un simbolo più forte, attuale e simbolico di un anonima statua di un mercante di schiavi eretta da un privato alla fine dell’800? (nota di colore: la raccolta fondi andò male e il tizio fu costretto pagarsela da sola)

Non voglio dire che questa sia la strada da seguire per tutte le statue che non vanno a genio a qualche gruppo di persone (personalmente sono contrario a queste iniziative autonome di distruzioni di statue) ma è innegabile che in alcuni casi la sostituzione genera molto più valore dello status quo. Secondo me sarebbe un dibattito più costruttivo della faida fra chi vuole mantenere lo status quo e chi vuole radere al suolo tutto.

E quindi?

E quindi è un casino. Come tutte le cose che appartengono alla coscienza e all’animo umano è impossibile uscirne con una risposta in mano. Ognuno può aver letto questo articolo, essere d’accordo con tutto e tuttavia pensarla diversamente su ogni caso di specie. Il mio intento è solo che si eviti di buttare la discussione alle ortiche con sterili espedienti dialettici, battutine, meme e facili semplificazioni.

L’articolo è già troppo lungo e ho l’impressione di non aver toccato molti dei punti che mi ero prefisso. Vorrei solo che fosse chiaro che in una situazione tanto complessa è variegata ogni partigianeria è suscettibile a errori. Non c’è una posizione dogmatica che va abbracciata nella sua totalità o completamente rinnegata.

Non c’è contraddizione ad essere d’accordo alla rimozione/sostituzione di una mediocre statua di un mercante di schiavi dal valore storico nullo e non voler rimuovere “statue di imperatori romani”. Non c’è contraddizione nel considerare la rimozione di Via col Vento da una piattaforma di streaming come un atto di indicibile idiozia (una formale rinuncia da parte di una società occidentale a qualunque sforzo di contestualizzazione di opere figlie del loro tempo) ma allo stesso tempo chiedere un maggiore sforzo di chiarezza su come alcuni temi vengono contestualizzati e proposti. Non c’è contraddizione nel chiedere di non giudicare le persone con le lenti etiche contemporanee e allo stesso tempo essere critici su come viene sfruttato ed esposto ciò che quelle persone simbolizzano nel contemporaneo.

Non sono contraddizioni perché non c’è una risposta universale che va bene in ogni caso. Siamo costretti ad andare caso per caso. E direi che in questo caso sia meglio così.

¹: Sia chiaro che non voglio convincere nessuno anche perché non saprei di cosa. Voglio solo gettare fuori dalla mia mente questi pensieri per evitare di starci continuamente a pensare. Potete vedere questo articolo come un mio ragionare a voce alta, per iscritto. :)

²: Anche perché, ad essere precisi, avremmo delle sorprese. Se seguiamo pedissequamente la linea di successione ci accorgeremmo che dopo la conquista di ciò che rimaneva dell’Impero d’Oriente, Maometto II prese anche il titolo di Qaysar-ı Rum, ovvero Cesare di Roma, rendendo la moderna Turchia l’unico erede diretto dell’Impero Romano.